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ALTRI RESOCONTI - Namibia 2008


 

Viaggio Avventura

Agosto 200
8

 

di Pietro Piccolo, DM1 , Vicenza

 

 

 

“Fino a quando una vacanza su Marte non diventerà una realtà, è confortante sapere che sulla terra esistono luoghi che offrono le stesse emozioni delle esplorazioni spaziali.”

(Namibia Holiday & Travel, 2001)

 

“La scrittura è la fotografia del sapere ma non è il sapere stesso. Il sapere è una luce che si trova nell’uomo. E’ l’eredità di tutto ciò che gli antenati hanno potuto conoscere e che ci hanno trasmesso in germe,così come il baobab è racchiuso in potenza nel suo seme.”

(Amadou Hampatè Ba)

 

Qualche premessa iniziale

 

Era da qualche anno che la Namibia mi frullava in testa, me ne aveva parlato in termini entusiasti un compagno di viaggio durante una  interminabile tappa di trasferimento in uno sgangherato pulmino  nelle sconfinate lande della Patagonia (era l’anno del Signore 1999).

Avevo successivamente visitato una mostra fotografica su quel paese e ne ero uscito letteralmente ammaliato e stregato: ci dovevo andare quanto prima,dovevo solo scegliere l’organizzatore giusto ed il mese, per l’anno infatti mi era subito chiaro che non sarei riuscito ad attendere quello successivo.

Il mio primo pensiero è stato per Avventure nel Mondo, con cui avevo già fatto qualche esperienza, ma il caso ha voluto che navigando in rete visitassi il sito www.disavventurenelmondo.it in cui sono descritte le infinite peripezie e talvolta gravi disgrazie cui puoi andare incontro con quel tour operator se hai la sfortuna di capitare col capogruppo e/o col gruppo sbagliato.

Nel caso specifico della Namibia anni fa un ragazzo che viaggiava con ANM, a seguito di un incidente su un pista è rimasto paralizzato, per poi venire a sapere che oltre il danno avrebbe avuto anche la beffa: l’assicurazione non gli avrebbe pagato nulla perché copriva solo la guida su tratti di strada asfaltata!!

Dopo simili notizie il mio ditino ha cominciato a digitare sulla tastiera il più lontano possibile dal sito di ANM ed è casualmente finito su quello di Viaggigiovani,un piccolo e snello operatore gestito a Trento da due ragazzi che offrono pochi viaggi in uno stile che ho subito sentito simile al mio: notti in tenda, qualche trekking, niente ansie del tipo ”devo per forza vedere tutto di quel paese anche a costo di trasformare il viaggio in una corsa a tappe forzate”, appoggio logistico a tour operator locali per la guida dei mezzi di trasporto.

Il periodo scelto era dal 18 al 30 agosto: non mi restava che pagare la caparra ed attendere con ansia l’arrivo dell’estate ... che, come sempre più spesso mi succede ultimamente,è arrivata in un lampo.

 

 

 

La partenza

 

Ultimamente se posso tendo ad utilizzare solo mezzi pubblici per arrivare all’aeroporto e così ho fatto anche in questa occasione: autobus vicino a casa alle 9,08 fino alla stazione ferroviaria, treno per Verona alle 9,56, altro autobus dalla stazione di Verona all’aeroporto e finalmente si vola.

In stazione il pensiero corre subito a Giovanna, Francesco e Benedetta che mi mancano già: mi conosco, è successo tante altre volte, solo l’entusiasmo ed il turbinio di immagini, odori sapori, rumori del viaggio mi farà sopire il leggero ma persistente senso di colpa che provo quando li lascio a casa e parto.

Ieri sera mi sono addormentato al suono di un grillo che cantava nel mio giardino: che bella musica, perfetta nella sua ritmata semplicità, come i balzelli leggeri e veloci del passerotto che ho vicino ai piedi ora che sono seduto in stazione in attesa del treno.

La mente corre a tutto ciò che mi attende: le esperienze più nuove e quindi più attese sono senza dubbio quella di dormire in tenda in piena savana e quella di vedere il deserto con le dune più alte del mondo.

Era dal viaggio in Kenia del 2002 che desideravo tornare a vivere l’Africa come dico io, senza lussuosi lodge con guardie armate che “ti proteggono dai leoni affamati,”senza  vedere gli abitanti dei villaggi solo dai finestrini chiusi del pulmino etc etc.

Durante il volo per Francoforte sorvoliamo l’altopiano di Asiago e cerco per gioco ma un po’ ingenuamente credendoci, di vedere la mia famiglia giocare nei verdi prati vicino alla casa dove da alcuni  giorni sono in villeggiatura. Ciò mi intenerisce anche se ovviamente è tutta una finzione.

All’aeroporto di Francoforte trovo i miei compagni di viaggio, tutti ragazzi più giovani di me e senza famiglia: non è una novità perché sono quasi sempre l’unico sposato e con prole che viaggia da solo e desto spesso tanta meraviglia quasi che nel pensar comune lo sposarsi equivalga a mettersi in pantofole prigionieri della famiglia o comunque fare tutto e sempre con essa.

Dopo circa 10 ore di volo a 11000 mt di altezza, una ipo notturna con glicemia a 33 opportunamente corretta con una coca ed una lemonsoda atterriamo  a Windoek, la capitale, ed appena esco comincia quella che chiamo la magia del primo impatto.

Già sulla scaletta dell’aereo e poi subito dopo all’interno dell’aeroporto cominci ad immagazzinare il “nuovo che di permea”: volti, parole, ritmi, suoni, immagini naturali ed artificiali, profumi e puzze, tutto ti dice che sei in un luogo che è altro rispetto ai tuoi luoghi abituali,un po’ alla volta capisci che non è né meglio né peggio del tuo, ma semplicemente diverso e perciò affascinante e tutto da scoprire.

Comincia anche un altro giochetto che mi viene istintivamente da fare ogni volta che viaggio: confrontare le immagini reali con quelle che mi si erano formate nella mente durante le letture e/o la visione di filmati  effettuate nei mesi antecedenti la partenza.

 

 

 

Il viaggio in sintesi

 

Assieme ai miei 12 compagni, a Jo autista ed aiuto-cuoco, ed ad Anne nostra scaltrissima guida e favolosa cuoca di origini sudafricane abbiamo percorso circa 3500 chilometri in una decina di giorni. Il nostro mezzo di  trasporto era una specie di camioncino-pulman tipo Overland per intenderci, dentro al quale ogni mattina caricavamo oltre a noi stessi ed ai nostri bagagli personali tutta l’attrezzatura da campeggio (7 tende igloo,tavolino e sedie pieghevoli,materassini e sacchi a pelo, cibo via via acquistato nei supermercati dei pochi centri abitati che abbiamo incrociato e legna per l’immancabile fuoco serale).

Il pranzo, per questione di tempistica, consisteva quasi sempre in cibi non cotti o già cotti la sera prima tipo insalate di riso, formaggi, verdure crude miste, salame, frutta fresca.

La sera invece si mangiava cibi cotti sul fuoco che Jo provvedeva ad accendere ed a mantenere allegramente scoppiettante fino a tardi: polenta e spezzatino cotto con la birra,pasta condita con spinaci feta (è un formaggio) e prosciutto, sfilacci di carne di maiale con verdure cotte miste, spiedini e braciole ai ferri,talvolta dolci cotti al momento come un meraviglioso pudding al cioccolato.

Il  nostro tragitto ha descritto una specie di cerchio in senso antiorario che dalla capitale ci ha visti puntare decisamente a sud per vedere il Namib desert, per poi risalire con direzione nord-ovest fino a raggiungere la costa atlantica a Walvis Bay,quindi verso nord e rimanere incantati dalla maestosità dello Spitz Koppe (la montagna più alta del paese) e ancora più a settentrione dalla visita alla popolazione degli Himba ed infine puntando decisamente ad est abbiamo attraversato tutto l’Etosha National Parc per tornare infine a Windoek.

Direi che le perle di questo viaggio sono state tre:il fascino del deserto con le sue vaste distese di altissime dune e l’onirica oasi di Sossusvlei, la vastità del parco nazionale dell’Etosha con l’incredibile varietà della sua fauna selvatica ed infine l’unicità dell’esperienza di entrare in diretto contatto con una delle ultime popolazioni al mondo che vive ancora un’esistenza semi-nomade allevando pecore, capre e qualche mucca:gli Himba.

Partirei proprio da questi ultimi che definirei i pellerossa d’Africa per due motivi: il primo è estetico e consiste nel fatto che le donne  si cospargono la pelle di tutto il corpo, capelli compresi, con un vistoso unguento rosso fatto con ocra e grasso animale, il secondo motivo consiste nel fatto che purtroppo sono destinati a fare la stessa fine degli indiani d’America, degli eschimesi che ho visto ubriacarsi in Groenlandia,degli aborigeni in Australia,di molti popoli dell’Amazzonia e potrei continuare ancora per molto.

Gli Himba occupano una vasta zona nord-occidentale della Namibia chiamata Kaokoland vicino ai confini con l’Angola, in particolare nei pressi della cittadina di Opuwo.

Sono una tribù primitiva di pastori seminomadi che conduce un’esistenza ancor oggi fuori dal

tempo.

Vivono in rudimentali capanne fatte con sterpi, fango e sterco di vacca impastati e seccati al sole e si spostano in cerca di nuovi pascoli per il loro bestiame (ovini,caprini,bovini).

Alti,snelli  e fieri nel portamento vestono ancora secondo l’antica tradizione. Le donne indossano solo gonnelline di pelle lasciando scoperti i seni e calzano sandali in cuoio.

Le loro acconciature cambiano avendo un significato simbolico: da bimbe i loro capelli sono raccolti in due grosse trecce che cadono in avanti ai lati del viso,in età fertile le treccine diventano tantissime e strette,da sposate usano una crocchia di pelle di capra per ornamento che ferma  una parte dei capelli sopra la testa.

 

 

Gli uomini sposati usano indossare un piccolo copricapo scuro mentre gli scapoli ed i bimbi vengono rasati quasi completamente tranne per il cosiddetto “codino dello scapolo”.

Mentre mi aggiro tra le loro capanne mi domando se non stia anche io contribuendo a contaminarli con la mia stessa presenza, che ha pur sempre un impatto nei loro confronti e mi chiedo : è giusto essere qui ora? Una risposta certa che mi rassicuri la coscienza non l’ho trovata,ma una serie di accorgimenti che fanno parte del mio “bagaglio “ culturale di viaggiatore responsabile ed attento mi rassicurano,e le persone che sono con me la pensano e si comportano allo stesso modo, è già molto.

Tali escamotages sono per esempio:mai fare elemosina a nessuno(ciò crea dipendenza e pigrizia nella gente che la riceve),mai ostentare oggetti di valore e vestirsi nel modo più dimesso possibile per attirare poco l’attenzione, entrare in empatia con le persone semplicemente con un sorriso e due parole amiche di autentico interessamento o facendosi insegnare qualcosa da loro,mai fotografare le persone senza chiedere il permesso né tanto meno pagarle per farlo,semmai cercare di offrire beni utili ed appartenenti alla loro cultura, mai giudicare ciò che vediamo sulla base dei nostri valori e dei nostri schemi mentali,insomma il nostro essere lì deve cercare di diventare leggero,impalpabile, non invadente ed invasivo ma amorevole o per lo meno innocuo.

Tornando al mio viaggio la seconda perla  è stato il parco dell’Etosha situato a nord della

Namibia: con i suoi 23000 km quadrati è uno dei più grandi e famosi di tutta l’Africa.

Il paesaggio è molto vario:fitta foresta,savana,pianure sconfinate,immense distese di cespugli spinosi ed un grande deserto salino,l’Etosha Pan.

Non sto qui a tediarvi con la descrizione degli innumerevoli animali che ho avuto l’opportunità di osservare da vicino nello svolgersi delle loro precarie esistenze (in nessun altro luogo più di qui vale il detto “mors tua vita mea”).

Volevo solo comunicare alcune piccole sensazioni ed osservazioni su alcuni di loro.

 

 

Mi ha meravigliato per esempio il silenzio totale che avvolge l’avanzata imponente di una madria di elefanti:è incredibile vedere come un animale così pesante riesce a muoversi con tanta grazia ed armonia.

Le giraffe sembrano essere molto vanitose:quando le inquadro col mio teleobiettivo invece di fuggire si mettono in posa, fissandomi con i loro occhi  incorniciati da lunghe e vezzose  sopracciglia.

Uno degli spettacoli più affascinanti di tutto il viaggio è stato quello cui ho assistito ai bordi di una pozza naturale, dove animali di tutte le specie si recano a bere al tramonto ed all’alba.

Essa si trova nei pressi di un campeggio nella località di Okaukeio nel cuore del parco ed è letteralmente un luogo magico in cui regnano il silenzio,lo sguardo ammaliato ed attonito di molti turisti (tutti devo dire rispettosi ed educati),decine di “cannoni” fotografici puntati in paziente attesa del momento giusto per scattare( lo senti dentro quando devi far scattare l’otturatore,ma ci vuole assoluta pazienza),il sole che diventa una palla enorme ed incandescente e rapidamente si eclissa dietro il profilo dello sconfinato orizzonte,gli animali che con calma e riuniti in gruppi più o meno numerosi si avvicinano dopo aver percorso chissà quanti chilometri spinti dall’istinto della sete e guidati da un misterioso sesto senso che li porta all’acqua.

Elefanti,zebre,gazzelle,gnu,giraffe,qualche rinoceronte,innumerevoli uccelli di varie specie si avvicendano attorno alla pozza in maniera del tutto naturale secondo un ordine che per gli erbivori è quello del primo arrivato mentre per i carnivori è quello della legge del più forte.

La sera mi sono fermato in quel luogo magico fino a mezzanotte: non riuscivo ad allontanarmi custodendo gelosamente tutte le sensazioni ancestrali che solo la Natura selvaggia è in grado di offrire.

Ed eccoci all’ultima perla (last but not least) del mio viaggio: il deserto del Namib. Si tratta del deserto più antico del mondo e viene chiamato “il deserto che vive” perché moltissimi animali, insetti in particolare, si sono adattati alla difficile vita tra le sabbie.

Un simpatico inetto  che ho potuto osservare da vicino è lo scarafaggio “Fog-basking” che ha escogitato un originale metodo per bere: si posiziona sulla cresta di una duna, distende le zampe posteriori e con pazienza attende che una goccia di nebbia o di rugiada si condensi,cada sul dorso liscio e  scorra direttamente in bocca.

Da  Sesriem, dove abbiamo trascorso la notte in un bellissimo campeggio con piazzole ombreggiate da enormi acacie, percorriamo all’alba la strada che ci conduce alle dune di Sossusvlei. Dopo 45 km restiamo incantati dalla famosissima “Duna 45” così chiamata in virtù della distanza da Sesriem, è forse la duna più fotografata del mondo, grazie alla sinuosità quasi sensuale della sua cresta ed alla particolarità di avere ai suoi piedi una enorme acacia e qualche macchia di verdissima erba.

Assolutamente da non perdere l’esperienza sensoriale unica di arrampicarsi sulla duna a piedi scalzi,sentirsi avvolgere morbidamente i piedi fin sopra la caviglia dalla sabbia che all’alba è veramente fresca,mettere un piede a sinistra e l’altro a destra della cresta ed avere la sensazione di essere un po’ a cavalcioni del mondo, lasciarsi rotolare giù quasi facendosi inghiottire dalla madre terra.

Dopo altri 15 km abbandoniamo il nostro mezzo di trasporto e cominciamo il nostro breve trekking nel deserto.

Il cielo è per fortuna coperto di nuvole e quindi il sole non riesce a scaldare eccessivamente l’aria e camminiamo calpestando il vlei che è la zona che durante la stagione delle piogge viene a volta allagata dalle acque del fiume Tsauchab fino a formare un lago la cui vita dura solo poche ore.

In questo periodo il vlei si presenta come un’immensa distesa di fango secco cotto e spaccato dall’ardente sole del deserto.

Dopo circa due ore di marcia arriviamo alla nostra meta: la Dead Vlei, una bianca e aridissima spianata tra le dune con alcune acacie completamente annerite dal tempo e che pare abbiano più di  500 anni.

Il fascino che esercita una simile visione è enorme, ha radici ancestrali ed un sapore vagamente spettrale: è un luogo che al contempo ti attira e ti respinge,di ammalia e ti spaventa,ti costringe quasi a darti un pizzicotto per verificare che non si tratti di un sogno.

 

E per finire alcuni ricordi custoditi per sempre nel mio cuore

 

Albe e tramonti africani: è la prima volta in vita mia che ogni  santo giorno, per 10 giorni di seguito, ho contemplato il sole sorgere e tramontare in quei momenti magici e fugaci che sono le albe ed i tramonti in terra d’Africa.

I cieli stellati dell’emisfero australe:l’assenza totale di qualsiasi fonte d’illuminazione artificiale, di umidità e di ogni genere d’inquinamento nell’aria, la giusta predisposizione d’animo fatta di calma ed armonia con la natura ,sono tutti fattori che rendono le notti trascorse a contemplare la volta celeste, momenti  di indimenticabile profondità emotiva. Si ha quasi la travolgente sensazione di venire risucchiati nelle profondità degli abissi siderali,di essere una piccola nota nella grande sinfonia dell’universo ed è bello lasciarsi suonare abbandonandosi completamente all’Infinito.