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Diabete Off-Road @ 2014 - Petite Trotte Blanche



Traversata invernale sulle Alte Vie dei Monti Veronesi
Ventiquattro ore, o giù di lì, in autosufficienza, in privazione di sonno, a passo spedito, con la neve?
La nostra piccola corsa bianca, o se preferite, Petite Trotte Blanche!

[Qui il racconto della traversata. Più sotto spicciole disquisizioni filosofiche.
Per l'unico trailrunner con diabete facente parte del gruppo (sì sempre io, Cristian) seguiranno le consuete speculazioni metaboliche]

PTB REPORT > Doveroso è oramai cimentarsi nei racconti di trail, assunto a vero e proprio genere "letterario".
Tra il serio e il faceto, partorimmo in tempi non sospetti questa PETITE TROTTE BLANCHE (se vogliamo fare ironia alla francese) o Piccola Corsa Bianca (se invece lo sberleffo va alla "grande corsa" invernale italo-lombarda).
Siamo nel veronese con montagne che senza raggiungere quote alpinistiche possono considerarsi un piccolo spazio elettivo per la formazione del trailrunner.
In marcia dunque, al piccolo trotto, nella speranza di calpestare un po' di neve, nella certezza di passare la nottata in bianco, nell'auspicio di una buona compagnia, ma anche con il dubbio di saper portare o meno a compimento questa traversata invernale "scorgendo la sorgente, procedendo sicuri, intuendo il posto atto al riparo ed evitando l'assideramento".
La linea 122 dell'Azienda Provinciale Trasporti è puntualissima nello scaricarci al buio capolinea di Ljetzan alle 19.25 di venerdì 5 dicembre: il tutto per 5 euro e 20 a cranio.
L'autista si prepara al rientro a casa, forse interrogandosi sulla presenza di questi improbabili personaggi vestiti come "pagliaccetti" o forse talmente assuefatto ai tipi strani da non farci nemmeno caso.
"Sait bouken kan Ljetzan" … così, in cimbro o "tauc" che dir si voglia, siamo i "benvenuti a Giazza!", quota 750 slm.
Ci troviamo agli estremi nord-orientali della provincia veronese, dove i Cimbri, un popolo di coloni teutonici, si stanziarono in epoca medievale.
Siamo qui, e la sensazione è quella del "adesso, anche volendo, non si torna più indietro!"  
Silenzio assoluto. Poche luci accese qua e la. Nessuno in giro, a parte gli otto aspiranti "piccoli trottatori bianchi". In solitudine, affrontare una simile "avventura" potrebbe generare sconforto e paura irreversibili.
Ma lo spirito cameratesco vince sulle nostre ansie interiori.
Prima tappa: Osteria Ljetzan, a gestione famigliare e con un menù che denota una passione vera per i prodotti locali e la tradizione cimbra.
Non ci facciamo mancare nulla, anche del buon vino, che qualcuno della vecchia scuola tiene pure, ben diluito, nella borraccia.
Si paga il conto, si firma la cartolina elaborata ad hoc che sarà poi imbucata per gentile concessione e integrazione dell'affrancatura dall'esercente.
H 20.56: appello! Marco, Mario, Rinaldo, Cristian, Francesco, Silvano, Nicola, Carlo. Otto chiamati, Otto Presenti!
Foto di rito appannata … scarso dunque il nostro apporto alla ricca produzione iconografica sul trailrunning moderno.
Bip! Si parte! Pioggerellina sottile, quella che ti bagna poco a poco a tua insaputa.
Assetto antipioggia immediato. Spuntano giacche in goretex, copripantaloni ultralight, "ponci" ma anche sacchi della spazzatura: ognuno ha i suoi sistemi di protezione. Siamo qui a sperimentare.
Seguiamo la jeeppabile della Val Fraselle in religioso silenzio. Il ritmo è tranquillo e consente soste tecniche e una prima, indispensabile, digestione del succulento banchetto non certo ispirato ai principi di una equilibrata, sana e varia alimentazione. Inevitabilmente rigurgiti e altri non meglio determinati rumori fisiologici echeggiano nella vallata.
Respiriamo a pieni polmoni l'aria di montagna e il nostro spirito si immerge nella natura intatta e selvaggia, mentre il pensiero va alla storia di questi luoghi, a miti e riti di tradizioni antiche fatte di danze attorno al fuoco, saghe e leggende popolari.
Le rigide condizioni ambientali ci riportano velocemente alla realtà. La pioggia si fa via via più intensa, e così anche il freddo. Troviamo riparo nel bivacco di Malga Fraselle di Sopra. Si indossano qui secondi e terzi strati. Alzandosi di quota l'acqua si trasforma in nevischio e dai 1800 mt è neve sopra e sotto i nosti piedi: l'ostile ambiente montano mette a dura prova la scorza dei trottatori. La piccola corsa bianca, di nome, ora anche di fatto. 
Da Passo Tre Croci allo Scalorbi questo ci attende, lambendo le Piccole Dolomiti e ripercorrendo a ritroso un tratto della Trans D'Havet.
Il ritmo a elastico allunga il gruppo, ma quando si è in tanti sono cose che capitano. E' il tratto più "alpino" di questa lunga notte. La neve croccante sotto i piedi, il buio, la notte, la mancanza di punti di appoggio e ripari: il senso di questa traversata invernale è tutta qui, lontani dalle mollezze della modernità.
Al rifugio Pertica una breve sosta per uno spuntino di mezzanotte con distribuzione di frutta secca e oleosa. Ci infiliamo poi nel sentiero per Passo Malera prima su roccette, poi immerso nel bosco protetti dalla pioggia, ma non dalla fatica di un ultimo appeso tratto fino allo scollinamento. Qualche accelerazione per la vetta sgrana nuovamente il gruppetto. C'è chi soffre e c'è chi si diverte come un bambino.
Ora un po' di fuori pista. E' stavolta il richiamo dell'esplorazione senza traccia che conquista i "capogita".
Raggiungiamo per fondo erboso e bagnatissimo (contro cui nemmeno la scarpa in goretex può qualcosa) la vetta del Monte Trappola per poi conquistare monte Gaibana. La stazione di arrivo della seggiovia ci ripara dal vento e dal freddo che in quota si fa sentire.
In discesa, viscida, insidiosa e con visibilità limitata da nuvole basse, commettiamo alcuni errori di navigazione.
Sempre speranzosi e ottimisti i piccoli trottatori … non ci perdiamo d'animo, e aiutandoci con la moderna tecnologia ritroviamo la via verso ovest.
La luna piena non si sposa con le stelle, ma il cielo all'improvviso sembra aprirsi e la luna concedersi a guida e luce per i nostri occhi appannati.
Il panorama notturno spazia sui dolci e tondeggianti promontori della Lessinia.
Le vivaci conversazioni delle prime ore sui più svariati argomenti (cronache di ciclismo storico, Podenzana al giro del 1985 in particolare) sono ora solo un ricordo: le parole sono spese solo quando strettamente necessarie.
Problemi di stomaco prima rallentano e poi costringono due aspiranti PetitTrotters alla resa consapevole. Rinaldo con Carlo in assistenza, prendono la via del rientro alla base vita di Boscochiesanuova.
Dopo alcune esitazioni, decidiamo di proseguire, non essendoci timori sulla reale capacità di gestione dei due "quitters" di raggiungere in tutta sicurezza l'abitato più vicino e dunque rientrare su Verona con il primo pullman del giorno: "nottata sfortunata ma gloriosa".
Trailrunner, uomini di pensiero e di azione! Decisioni difficili, ma che vanno prese. Ed è stata la scelta giusta!
La vera difficoltà di questa traversata era rappresentata dalle nove ore in notturna senza "basi vita". In questa lunga fase non ci si poteva permettere "guai" e bisognava essere in grado di percorrere una via di fuga sulle proprie gambe (alternativa al 118, non il numero di un sentiero, ma il numero di emergenza).
Per deviazione su pratoni, i sei piccoli trottatori residuali procedono in fila indiana e conquistano i 1750 mslm di Castelberto. Breve pausa per mordicchiare qualcosa attingendo alle nostre scorte alimentari. Un suv qui parcheggiato ci riporta per un momento alla dimensione moderna. Il nostro chiacchiericcio di sicuro non disturberà il sonno del gestore. Pioggia e umidità tornano a farsi sentire. Meglio muoversi. A star fermi ci si raffredda e basta.
Vedere l'alba dalla Lessinia? Oggi impossibile: meteo, bosco e ritmo spedito ce lo impediscono nella lunghissima, tecnica e fantastica discesa ad Ala sul sentiero 111. La visione delle luci a valle, il richiamo dell'antropizzazione e di un esercente cui comandare qualcosa di caldo, suonano la carica ai nostri mitocondri sopiti. Non c'è modo di richiamare al "passo controllato" i discesisti. Poveri quadricipiti, quante sollecitazioni in 1700 mt discensionali: ci vogliono muscoli d'acciaio e cuore di bronzo.
Giunti in riva all'Adige, come programmato Nicola ci abbandona dileguandosi nei vicoli alla ricerca della stazione ferroviaria e del treno delle 6.05. Per lui il titolo di "mezzo finisher".
I "superstiti" assediano il panificio, oggi fortunatamente aperto di buon'ora.
Sguardi, sussurri, sospiri, togli e metti lo zaino, pensieri, mandibole masticanti, espressioni variegate. Situazioni e facce da notte passata a cuocersi a bagnomaria, oltre che in bianco.
Breve trasferimento su betume fino al bivio per Pilcante dove un bar è aperto di prima mattina. Che bello sorseggiare una bevanda calda!
Entriamo in cinque, ma usciamo in quattro. Anche Mario, il nostro narratore di ciclismo eroico, attiva l'opzione "rinuncia". La fermata dell'autobus a pochi metri dal bar è una tentazione cui è difficile resistere.
Sistemato appetito e intestino in entrata e in uscita, con panni asciutti, i quattro "persistenti" premono il tasto "play" sospendendo lo stand-by "pausa caffè" e riprendendo, fieri e saggi, il cammino.
Fino a Pra dei Lazi la salita è ripida, ma concede respiro in un'alternanza tra cemento e sentiero. Nonostante le defezioni, il morale della truppa si fa via via più allegro, con vocio e conversazione accesa, in questo aiutati dal sorgere del sole e dall'arrivo della luce diurna. Effetto alba …
A quota ottocento metri gustiamo piccoli sorsi una birra fresca ritrovata nel vicino baito. Tempo per telefonate-sms-whatsapp (ci concediamo un minimo sindacale di modernità) prima di tornare a salire. Un cartello indica Monte Vignola: una esile pista monotraccia prima in traverso poi in verticalità estrema arrampica fino a lambire i 1600 mt di quota.
La vista spazia sulla valdadige quando gli occhi non sono occupati a fare ben attenzione a dove puntare i piedi e a trovare la giusta via. Sentiero wilderness in totale assenza di bollini CAI, per amanti di pendenze hors categorie e con tempra d'acciaio.
Ambiente che incute rispetto e non permette distrazioni, da affrontare con agilità da camoscio. Lo scrivente viene più volte deriso da Capitan Fedel e dal vice Tor per l'adozione contemporanea di Hoka e bastoncini con gommini: roba da nordic walking.
Il finale è in orienteering … procediamo sparsi nel bosco a rotta libera.
Finalmente sole, temperature gradevoli e un po' di gradita orizzontalità. Monticazione o transumanza … termini diversi per definire la stessa antica attività rurale. In transizione bipede, dall'alpe alla valle, pure il nostro affiatato quartetto. Le gallerie scavate nella roccia di Bocca d'Arcole sono passaggio obbligato e gradito per spettacolarità.
Scolliniamo misurando le forze e infine per i scivolosi e argillosi pratoni della pista da sci troviamo riparo e un piatto caldo al ristorante di San Valentino, fortunatamente aperto! Lasagna al forno per tutti!
Un po' di indecisione regna ora sulla via da seguire per il Garda. La stanchezza è ben mascherata, ma affiora la voglia latente di terminare la "trottata" per ora di cena con contestuale ritrovo degli affetti familiari.
Esclusa la via di cresta, si opta per scollinare nei pressi della stazione sommitale di Malcesine, portandosi sul versante occidentale baldense e dunque innestarsi nella bassa via del Garda: orologio alla mano, valuteremo quale punto del lago sarà la nostra meta finale. Come si suol dire, abbiamo il "terreno in tasca" e possiamo esercitare un po' di improvvisazione sentieristica.
Nei boschi per Fos-cè un ramo rischia di accecare il nostro Tor … che si riprende prontamente.
Un eccesso di confidenza sulla conformazione orografica e sulla nostra abilità di taglio in fuori traccia, ci fa perdere la miglior rotta. Giriamo un po' a vuoto tra S.Valentino, Fos-cè, Malga Tolghe e Bocca di Navene, ma queste divagazioni ci consentono di ammirare le grandi dote alpinistiche di capitan Silvano che raggiunge la metà passando su improbabili roccette e ciglioni di precipizi, tra balze e borre, mentre gli altri tre ivi giungono per più comode e basse vie, ma con egual impeto errante.
Ancora un po' di ascensionalità per risalire, disciplinati e devoti, alla colma di Malcesine. Pascoli verdi ma desolati, battuti dal vento. La neve caduta poco più di una settimana fa è solo un ricordo. Tutto tace. Stabilimenti ed esercenti chiusi in attesa della stagione invernale. In assenza del turismo cavo-trasportato godiamo di una vista lago tutta d'un fiato. Piccoli trottatori ora grandi contemplatori.
Sentiero 3, e poi la variante in integralità per Malga Selva Pezzi a rischio di multa della forestale. Tiè!
Qualche tronco abbattuto da saltare in agilità rende questo tratto più divertente del solito. Ritrovata la via ufficiale procediamo fino all'innesto con il segnavia 7 detto "dei Ladroni" che tutto rigorosamente in monotraccia scende fino ai 700 metri di quota di Malga Fabio.
Qui il quartetto procede a ranghi separati, con capitan Fedel e Tor a piede libero, Marco più prudente e attento a fotografare qualche camoscio, Cristian al piccolissimo trotto provato da vesciche ai piedi e concentrato su come non finire moribondo.
La successiva discesa a Cassone per il sentiero 9 richiede abilità e concentrazione, presentando il fondo situazioni varie, dalla mulattiera muschiosa e viscida, al macereto e alla pietra spezzata. Non ultima la ripidissima cementata finale, talmente umida da trasformarsi in pista di pattinaggio. Più volte fu necessario aggrapparsi ai muri laterali o più semplicemente scivolare in precario equilibrio o poggiando le chiappe a terra a mo' di slittino fai-da-te.
Manca poco alle cinque. E' l'ora del tè ma anche di dire stop. Il lago è comunque raggiunto, anche se non per la via inizialmente immaginata.
Assistiamo a un improvvisato rito pagano, forse di origine cimbra: Francesco svuota nel lago un po' d'acqua di Giazza gelosamente custodita in una borraccia.
Altri preferiscono mettere i piedi nell'acqua del Lago come simbolica purificazione dalla fatica e umile tributo ai nostri mezzi di locomozione. Apprezzati attimi di "laica spiritualità", ma preferiamo poi riparare più a lungo nel vicino bar in attesa del pullman delle 17.44. Qui birrini, dixies e grassi vegetali rigorosamente idrogenati la fanno da padrona!
Da Giazza al Garda … Venti ore, gagliarde comunque, con 80 km e 4800 di più (con altri 23 km e 1000 d+ saremmo potuti giungere a Garda, ma a dicembre e dopo una notte a bagnomaria va bene così, e poi avremmo corso il rischio di perdere altri trottatori!)
Terzo Tempo in famiglia a casa dello scrivente, qui giunti bus trasportati.
Ci si concede qualche brindisi di troppo. La stanchezza unita all'ebbrezza concilia il sonno profondo e irreversibile. Volti segnati dalla fatica ma con la mente già protesa alla prossima avventura … pace nelle gambe a noi sconosciuta, sempre a inseguire i nostri "utili" sogni!
Un lungo percorso che deve necessariamente riportarci a casa sani e salvi e magari anche un po' migliorati! Ma questo sta a chi ci osserva da vicino constatarlo.

POSTILLA: RESILIENZA OD ONNIPOTENZA? SPICCIOLE DISQUISIZIONI DEL TROTTATORE PERSISTENTE ... di Terminator Agnoli 
I noti autori, studiosi e guru della "resilienza" (di cui ogni trailrunner degno di questo nome conosce il significato) tendono a richiamarsi all'evoluzione non solo genetica ma anche ambientale (=adattamento) nello spiegare la propensione dell'essere umano alla corsa di endurance. Tutto sembra derivare dal fenomeno del cacciatore persistente, ovvero l'uomo preistorico che per procurarsi cibo e dunque uccidere animali e fiere senza armi, utilizzava la tecnica dell'inseguimento fino allo sfinimento per ipertermia della preda, e dunque terminandola a colpi di pietre e massi.
Così è che ci siamo evoluti. Anche in assenza di strumenti moderni di sterminio di massa il piccolo uomo primitivo sapeva uccidere mammiferi assai più forti, grandi e veloci di lui. Si chiamava persistent hunting (caccia di persistenza) e sembrerebbe spiegare, si diceva, la nostra capacità di correre, se non veloci, per ore e giorni senza soluzione di continuità grazie anche alle straordinarie caratteristiche di adattamento e termoregolazione dell'homo herectus, che sembrano non appartenere invece agli altri animali.
Ma se la sopportazione della fatica intrinseca alla caccia di persistenza si spiega con la necessità di sopravvivenza e approvvigionamento di cibo, con cosa spieghiamo il richiamo alla corsa di persistenza moderna, ovvero sportiva, sia essa in ambito agonistico o esplorativo. Può una sovrastruttura come la gloria, la voglia di conoscenza e di confronto con i nostri limiti, la vittoria sportiva parigliare la lotta per la vita. Difficile rispondere, ma probabilmente correre sta diventando ai nostri tempi una necessità per sopravvivere alla società dell'opulenza e del tutto e subito. Insomma il fascino della fatica e dell'immane smazzamento come contrappeso al senso di colpa per il benessere conquistato. Oppure sarà che a stare bene ci annoiamo.
Non siamo qui a giudicare, ma solo a interrogarci. Anche perché ce lo possiamo permettere. Correre starà diventando anche una questione di sopravvivenza ma, diversamente dalla caccia persistente non è una questione di vita e di morte. O al momento non lo è.
Dove ci porteranno le nostre corse persistenti? Servono, come sostengono Trabucchi e i suoi seguaci a garantirci quella tempra flessibile e imperturbabile necessaria per affrontare le sfide della società globale, della crisi ricorrente e questa sì persistente in attesa della fine del mondo o della guerra tra poveri, o ci porteranno a una autoreferenzialità assoluta e all'ipertrofismo del nostro io e dunque a un fenomeno di puro e massacrante edonismo fine a sè stesso. Non è che fare della fatica una passione che va di moda, invece che renderci tutti più forti e pronti a scommettere sul futuro delle nuove generazioni, ci renda una élite autocelebrativa e settaria, più simile a una banda di "paninari degli anni ottanta" che a un orda di cacciatori persistenti sapiens sapiens in grado di sopravvivere a fatiche straordinarie e stenti inimmaginabili?
Insomma w lo sport, w il tempo libero che ci siamo conquistati con il progresso, ma un po' riflettiamo, cari corridori persistenti o aspiranti tali, sul senso di quello che facciamo, perché è fondamentale sentirsi migliori e propositivi (w l'autostima), ma anche contrastare l'innato istinto di onnipotenza che assale conquistatori, esploratori e avventurieri. Sentirsi sempre più piccoli anche dopo aver vinto qualcuno dei nostri limiti è segno della nostra umiltà, che resta l'unico valore che preserva veramente, e in primigenia purezza, la nostra reputazione. Anche nell'era moderna, e forse ancor più oggi di ieri, "i nostri limiti sono tantissimi, sempre meno di quelli che pensiamo di avere, la nostra umiltà è pochissima, sempre meno di quella che pensiamo di avere".

PERCORSO > Ljetzan - Val Fraselle - Malga Fraselle di Sopra - Passo Tre Croci - Rif. Scalorbi - Rif. Pertica - Passo Malera - Cima Trappola - Pozza di S. Giorgio - Castelberto - Ala via sent. 111 - Pilcante - Pra dei Lazi - m. Vignola - Bocca d'Arcole - S. Valentino - Rif. Fos cè - Malga Tolghe - Bocca di Navene - Tredes Pin - Malga Pezzi - Sentiero dei Ladroni - Malga Fabio - Cassone di Sommavilla - Lago di Garda.

SPECULAZIONI METABOLICHE > work in progress

INCIPIT ...  "Dove un borghese, un cittadino, nuovo ai monti, muore di sete, il montanaro, frugando con l'occhio, scopre la sorgente. Dove altri si accascia nel dubbio di scegliere la strada, il montanaro procede sicuro, scruta le peste dei viandanti e degli animali; se c'è pericolo della valanga, subito intuisce qual è il posto atto al riparo; se la tormenta imperversa, sa come evitare l'assideramento." (C. Battisti)

ANTEPRIMA PTB
Quando > 5-6 dicembre 2014 (salvo condizioni meteo impossibili)
 
Percorso > Da Giazza (Lejtzan) al Garda navigando a vista tra Gruppo del Carega, Piccole Dolomiti, Monti Lessini e Dorsale del Monte Baldo

KM / d+ > a seconda della via che si seguirà. Stimiamo Min 80 max 120 km x circa 4000/5000 d+

Ritrovo > h 17.30 Verona - Bus per Giazza h 17.45 - Arrivo a Giazza 19.25 - Pizzetta e alle 20.30 circa si parte !
Rientro sul Garda per la tarda serata di sabato 6 dicembre (salvo
imprevisti e in base alle condizioni di innevamento in quota)

Chi > Issimo & Friends

MISSION > Alpigiani si nasce o si diventa? Una traversata invernale per interrogarci sul fascino dei lunghi percorsi anche in situazioni ambientali difficili: stagione invernale = freddo, neve, ghiaccio, rifugi chiusi. Obiettivo primario, come sempre, il ritorno a casa!
Si cercheranno di attraversare i più significativi luoghi, passi e sentieri dei promontori veronesi!
CARTOLINA > Cartolina realizzata per l'occasione e controfirmata da tutti i partenti prima dell'invio al domicilio di Issimo.  La spedizione è stata possibile previo inoltre del gestore dell'Osteria Lejtzan al più vicino ufficio postale e aggiungendoci pure 20 centesimi mancanti nell'affrancatura non adeguata :-)