Il contenuto di questa pagina richiede una nuova versione di Adobe Flash Player.

Scarica Adobe Flash Player


Dnl - Diabete no limits

unisciti a diabete no limits dnl - tubo mellito

CAMP MELLITO 2.0 • ED.2013 - REPORT @ CM 2.0





Report Emozionale
... a cura del Presidentissimo

Inutile perdersi nell'ennessimo resoconto. Gli aggettivi e i sostantivi non bastano ... e nemmeno predicati, avverbi e preposizioni. Ma proviamo a metterli assieme in sequenza:
40, tipo 1, uomini, donne, special guest, amici, compagni, figli, mogli, mariti, 4 giorni, giovedì, venerdì, sabato, domenica, fatica, sudore, paesaggi, lago, borghi, passeggiate, mangiate, apporti calorici, lezioni frontali, late show, corsi e minicorsi, slide, counseling personalizzato, dieta equilibrata, potere alla parola, programmi futuri, workouts, meteo, autunno, sole, salite, sveglia presto, alba, freddo, Luigi, Luigi, Maurizio, Arnaldo, Vera, Barbara, Luca, Monica, Marcello, discese, scatti, cronoscalate, downhill, agilità, lipidico, doppio lipidico, sudore, sano, scarpette, soglia aerobica, soglia del lattato, gesto, postura, andature, plicometrie, biomeccanica, appoggio del piede, mute, triathlon, cuffie, occhialini, anatre, acque libere, acque indoor, ciclismo su strada, spinning, mountainbike, corsa, trail, preatletica, panorami, sorrisi, allegria, determinazione, serietà, gaffes, provocazioni, errori, storditismo, barzellette, birre, tiratardi, brindisi, conta dei carboidrati, analisi bromatologica, autocontrollo, compilazione del diario metabolico, flussi energetici, allenamenti a digiuno, fame, voracità, sobrietà, hors cateogorie, Cima Coppi, Gpm, Monte Velo, Torri Bivio, a tutta, finti scatti, fiatone, Campo, Assenza, Marniga, Castelletto, Brenzone, dibattito acceso, easy listening, filmati, interviste, penne, pompe, insuline, aghi, stick, sensori, glucometri, casi umani, cazzeggio, videoanalisi, briefing metabolico, glicemie buone, glicemie cattive, boli e basali, lenti e veloci, caffè, ammazzacaffè, ritardatari, forature, dolore, acciacchi, prevenzione, questionari, tesisti, tutor, allenatori, dottori, biciclette, scarpette, balzi, saltelli, skip, pedalata, spiaggia, collina, chiesette, palestra, suore, prelati, sale convegni, flussi energetici (sì .. ancora) , glicolisi, neoglugogenesi, proteine, grassi, lipolisi, consapevolezza, attenzione, curiosità, sbadigli, pistolotti, retorica, emozione, comprensione, distrazioni, volontà, terapie, fai-da-te, metodi, schemi, linee guida, oltre le linee guida, consigli, ragionamento, uso della testa, testa sulle spalle, che palle, due palle così, quote rosa, w le donne, allupati, uomini d'onore, irriverenti, diplomatici, dolci, amari, acerbi, agrodolci, massa grassa, entusiasmo, alle stelle, energia, positiva, presidentissimo, cazziatone, esperti, ultratrail, short trail, new entry, giovani, vecchi, tenaci, arrendevoli, trasferte, volontari, contributi, donazioni, 5 per mille,  forza, prorompente, DNA DNL, spirito mellito, persone, atleti, principianti, schiappe, evoluti, medi, logorroici, silenti, seri, sorridenti, timidi, estroversi, coraggiosi, single, sposati, separati, solitari, compagnoni, attoniti, contenti, assetati, meravigliati, commossi, sognatori, polemici, testoni, discorsi, fiumi di parole, aria fritta, regole d'oro, sincerità, verità, bugie, puntualizzazioni, verifiche, studi, scienza, inglesismi, accenti, dialetti, idiomi, confusione, voce, silenzio, vento contro, vento a favore, partenze, arrivi, abbracci, arrivederci, Occupy Diabetes … Ecco cosa avete vissuto, ecco cosa vi siete persi!




Report "Ediuchèscional" ... a cura di Doc Maurizio Sudano
© all rights opensourced @ DNL... basta citare la fonte

"Oltre le Linee Guida ... flussi energetici e gestione del diabete tipo 1
negli sport di endurance"

[per una migliore comprensione si consiglia di scaricare le slide ai link segnalati]

Quando si parla di diabete T1 e sport, di solito si pone l’accento sull’ottimizzazione del rapporto insulina/carboidrati (CHO) più che sugli aspetti squisitamente atletici.
Tuttavia, l’endurance è un’attività fisica “prolungata nel tempo e nello spazio” che di per sé (e quindi con o senza diabete) provoca complessi adattamenti metabolici che devono essere conosciuti se si vuole: a) godere il proprio sport preferito in sicurezza; b) migliorare le prestazioni atletiche.
Se le precedenti condizioni sono soddisfatte, si può puntare a c): far sì che la pratica sportiva determini un miglioramento assoluto del compenso metabolico, e in definitiva, dello stato di benessere.
Ho scritto questo promemoria sulla base della “lezione frontale” fatta al CAMP DNL 2.0, ma l’ho composto in modo che possa (spero) essere utile anche a chi al Camp non c’era.
Le diapositive associate a questo testo servono a illustrare e integrare meglio alcuni concetti. Descriverò le principali vie metaboliche deputate alla produzione di energia, trascurando altri importanti capitoli (adattamento cardio-respiratorio, muscolare ecc.) che non hanno una rilevanza immediata sul metabolismo del glucosio.

STRADE E AUTOSTRADE ENERGETICHE

I muscoli in attività non “bruciano” né carboidrati né altro: l’unica molecola “energetica” necessaria per la contrazione è l’ATP (adenosin-tri-fosfato). Il compito delle vie metaboliche che esamineremo è proprio quello di produrre tutto l’ATP necessario per i processi vitali e la contrazione muscolare.
Fondamentalmente abbiamo tre grandi vie metaboliche:
1) METABOLISMO ANAEROBICO ALATTACIDO; 2) METABOLISMO ANAEROBICO CON PRODUZIONE DI LATTATO; 3) METABOLISMO AEROBICO.
Queste tre “vie” intervengono in tempi e modi differenti nel corso dell’attività fisica.
A riposo è sufficiente quel po’ di ATP che è sempre presente all’interno dei muscoli. Ma con l’inizio di un’attività intensa, questi piccoli depositi non bastano più, e nei primi secondi la produzione di ATP è garantita dal metabolismo alattacido (shuttle della fosfocreatina). La copertura energetica varia dai pochi secondi di uno sprint massimale (es. i 100 metri piani) al primo minuto di un trail a ritmo moderato. In altre parole, lo shuttle della fosfocreatina copre il fabbisogno energetico di attività massimali molto brevi, o nei primi secondi di una attività prolungata, in attesa che vengano attivate altre vie più “lente”. Con il proseguimento dello sforzo la via metabolica prevalente dipenderà dal grado di allenamento dell’atleta per quella determinata prestazione. I soggetti bene allenati attivano velocemente la via aerobica (FOSFORILAZIONE OSSIDATIVA) che ossida il glucosio ad acqua e CO2. Invece, i soggetti meno allenati non sono così “bravi” ad accelerare la via aerobica, e transitano attraverso una fase ANAEROBICA, dove il glucosio è metabolizzato a lattato (GLICOLISI). Il lattato può a sua volta essere rimosso e riutilizzato dai muscoli o altri distretti corporei per la produzione di ATP, ma se la velocità di produzione del lattato supera quella di rimozione, le sue concentrazioni nel sangue aumentano rapidamente. Il lattato non è di per sé responsabile della fatica muscolare, ma il superamento della cosiddetta soglia del lattato (nota anche come SOGLIA ANAEROBICA) è un “avvertimento” che la fatica muscolare arriverà rapidamente, se non si diminuisce il ritmo della prestazione.
Rispetto alla via aerobica, la glicolisi è un processo meno efficiente che porta velocemente a un impoverimento dei depositi di CHO, e non può comunque sostenere la spesa energetica, soprattutto se massimale, per più di pochi minuti. In soggetti con scarso o nullo allenamento, incapaci di attivare rapidamente i processi in aerobiosi, la “spremitura” della via glicolitica porta velocemente al raggiungimento della soglia di fatica e a uno stop prematuro della prestazione. E’ importante sapere che fasi di anaerobiosi possono verificarsi anche in soggetti allenati nel corso di una prestazione di endurance tipicamente aerobica: ad es. un brusco scatto in salita nel corso di una lunga tappa ciclistica mette a dura prova la via ossidativa e richiede un “plus” di energia che può essere fornita dalla glicolisi. La capacità di sopportare per periodi più o meno lunghi le aumentate concentrazioni di lattato è INDIVIDUALE E ALLENABILE con training specifico.
Abbiamo parlato finora solo di glucosio. Da dove arriva? Ci sono altri “substrati” che contribuiscono alla produzione di ATP?
I substrati che circolano liberamente nel sangue in realtà costituiscono una riserva molto limitata che basta sì e no per 80 minuti di metabolismo BASALE. Il corpo però dispone di  “depositi” di nutrienti da utilizzare a scopo energetico. I carboidrati (CHO) provenienti dall’alimentazione sono organizzati in lunghe catene di GLICOGENO, che sono poi stivate principalmente nei muscoli e nel fegato. I LIPIDI (grassi) sono invece demoliti a TRIGLICERIDI che possono essere immagazzinati nel tessuto adiposo, nei muscoli, e, anche in questo caso, nel fegato. Dalla diapositiva si può capire una cosa molto importante su cui torneremo in seguito: le maggiori scorte energetiche sono situate…nel grasso.
Il corpo umano è molto elastico nell’utilizzazione dei nutrienti: il glucosio si ottiene in gran parte dalla demolizione del glicogeno (GLICOGENO-LISI, da non confondere con la glicolisi vista prima). Ma può anche essere fabbricato ex novo dalla demolizione di grassi e proteine (GLUCONEOGENESI). Demolire proteine a scopo energetico non è però efficiente dal punto di vista energetico e, soprattutto provoca un danno netto. Infatti non abbiamo depositi per stivare le proteine in eccesso: queste sono tutte “occupate” in ruoli funzionali, tant’è vero che le proteine muscolari sono utilizzate per produrre energia solo “in extremis”, quando cioè tutte le altre fonti di carburante sono esaurite. E’importante sapere che tutte le vie sopra esposte non funzionano con un meccanismo “a interruttore” escludendosi a vicenda, ma sono sempre attive, assumendo diversa prevalenza a seconda del tipo e della durata dell’attività.

ENDURANCE E RISPARMIATORI DI GLUCOSIO
Abbiamo già visto che il glucosio entra SEMPRE nei meccanismi di produzione di energia, sia aerobici che anaerobici o misti. Ma....quanto ne abbiamo a disposizione? In realtà il glucosio di riserva (glicogeno) non è quantitativamente un granché: in media ne abbiamo 300-400 g, immagazzinati in gran parte nei muscoli (70%) e nel fegato (25-30%). Nel caso di attività di durata inferiore all’ora queste riserve sono di solito sufficienti per sostenere la via ossidativa, ma la faccenda cambia quando lo sforzo si prolunga. Se andiamo a guardare le riserve energetiche totali, notiamo che il maggiore potenziale di energia è contenuto non nel glicogeno, ma nei GRASSI, sotto forma di trigliceridi contenuti in quantità sia nel muscolo che nel fegato. Gli acidi grassi ottenuti dalla demolizione di trigliceridi entrano nell’autostrada” ossidativa da una via laterale, e finiscono per costituire LA PRINCIPALE SORGENTE DI ENERGIA NEL CORSO DI ATTIVITA’ PROLUNGATE. Nel corso di una maratona gli acidi grassi diventano il substrato prevalente dopo circa un’ora e mezza di corsa (N.B. valore puramente indicativo!).
Attenzione: il glucosio è SEMPRE necessario, anche se in quantità minori, perché la via ossidativa dei grassi può funzionare solo in presenza di ridotte ma indispensabili quantità di glucosio, ovvero, come diceva un vecchio adagio “i grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”.
Da qui un concetto chiave, fondamentale per capire quello che succede all’atleta con diabete T1: lo sportivo ben allenato per l’endurance E’ UN RISPARMIATORE DI CARBOIDRATI, perché grazie ad un allenamento specifico riesce ad attivare precocemente quelle vie metaboliche che sfruttano come fonte di energia i LIPIDI. La capacità di utilizzare i lipidi è ALLENABILE: uno sportivo allenato all’endurance attiva lo sfruttamento dei grassi già a livelli di VO2max relativamente bassi (40-50%), mentre un principiante sfrutta pienamente questa via solo per valori più alti, finendo quindi per consumare molti più carboidrati a parità di carico di lavoro.

ENDURANCE E DIABETE T1
Se consideriamo tutto quello che si è detto finora, è facile capire che nel diabete T1 l’andamento della glicemia e della performance sarà influenzato non solo dalla glicemia di partenza e dalla dose di insulina, ma da molti fattori extra quali le riserve personali di glicogeno, il grado di allenamento, la durata, l’intensità ed il ritmo della prestazione.
Vediamo di distinguere un “prima”, un “durante” e un “dopo”.
Prima della prestazione è importante non solo avere una glicemia accettabile (tipicamente fra 120 e 180 mg/dl, come dicono le “linee guida”), ma anche un buon compenso metabolico nei giorni immediatamente precedenti. Questo per due motivi: 1) lo scadente compenso metabolico peggiora, con meccanismi ancora poco chiari, i livelli massimi di metabolismo ossidativo, con uno scadimento generale della performance aerobica, e,  2), non consente di stivare il massimo livello di glicogeno all’interno di muscoli e fegato. Inoltre una ipoglicemia severa anche 24 ore prima compromette il sistema di controregolazione per molte ore, aumentando il rischio di ipoglicemia durante la prova. Altro grave errore è non correggere una glicemia elevata prima dell’esercizio, nella presunzione di essere maggiormente al riparo dall’ipoglicemia. In realtà, se consideriamo una ipotetica glicemia di 500 mg/dl, questa corrisponde più o meno a 25 grammi di glucosio che girano per il sangue, del tutto insufficienti per “coprire” la prestazione. Inoltre i “sensori” di fegato e muscolo percepiscono l’iperglicemia come un evento che rende inutile mobilizzare le scorte di glicogeno: paradossalmente il rischio di ipoglicemia durante l’esercizio....aumenta.

Durante la prestazione:
L’attività fisica intensa provoca un aumento del consumo di glucosio anche di 20 volte rispetto ai valori a riposo. Un concetto fondamentale è che l’aumentato ingresso di glucosio all’interno dei muscoli è un meccanismo in gran parte NON MEDIATO DALL’INSULINA, ma da specifiche “porte” che permettono l’ingresso diretto del glucosio. Questo spiega perché in un diabetico T1 il fabbisogno di insulina diminuisca anche in maniera notevole durante l’attività. Detto questo, per “indovinare” l’insulinizzazione adeguata è indispensabile conoscere la glicemia di partenza, ma anche con che velocità si sta consumando glucosio. Abbiamo detto più volte che quanto più l’atleta è allenato per l’endurance quanto più risparmierà glucosio a favore dei grassi. Quindi, per sintetizzare, “+allenamento aerobico (lipidico) >  – consumo di glucosio > –insulina”. Inoltre un’altra variabile è l’intensità media dello sforzo. Sappiamo da studi recenti che il consumo di glucosio aumenta in maniera lineare fino a una VO2max del 65-70%, per poi SCENDERE per valori di VO2max in prossimità e oltre la soglia del lattato. Questo avviene perché superando la soglia del lattato, viene attivata in maniera massiccia la risposta dei cosiddetti ORMONI CONTROINSULARI (fra tutti noradrenalina e adrenalina). Questi ormoni hanno la funzione di mobilizzare risorse energetiche in presenza di uno sforzo strenuo, e hanno una potente azione IPERGLICEMIZZANTE grazie alla demolizione delle scorte di glicogeno.
A questo punto è facile capire che la glicemia in corso di prestazione è una funzione non solo dell’insulinizzazione iniziale, ma anche del grado di allenamento, della intensità e del RITMO della prova. In presenza di un brusco cambiamento di ritmo (ad es. uno scatto in salita nel corso di una tappa ciclistica, o un’accelerazione su terreno difficile durante un trail) sarà quasi inevitabile oltrepassare per alcuni minuti la soglia del lattato e attivare gli ormoni contro-insulari. La glicemia aumenta, malgrado lo sforzo maggiore, ma non appena il ritmo ritorna “sotto-soglia”, nel prosieguo della prestazione tornerà a scendere, con la differenza che le scorte di glicogeno sono state messe a dura prova dalla scarica adrenalinica, con aumento del rischio di ipoglicemia e un peggioramento della performance.
Un’altra variabile è costituita dallo “spreco” energetico che deriva da una “destrezza” non ottimale. Ad es. uno specialista di MTB, abituato a frequenti cambi di ritmo, può non trovarsi a suo agio in una disciplina come il fondo, e, anche se ben allenato nella sua specialità, può ritrovarsi in difficoltà per il plus di energia speso per colpa di un gesto atletico non ottimale.
Cosa può succedere “dopo”? Sappiamo che le “finestre” temporali per il ripristino delle scorte sono fondamentalmente due: una precoce, entro un’ora dalla fine della prova, ed un’altra che si verifica svariate ore dopo, tipicamente nelle ore notturne se l’attività è stata svolta a metà giornata. In queste fasi muscolo e fegato captano velocemente glucosio dalla circolazione, per ripristinare le scorte di glicogeno. Aumenta quindi il rischio di ipoglicemia: ma anche in questo caso bisogna ripetere che l’entità del problema è legata a quanto sono “stressate” le riserve di glicogeno: quanto più l’atleta ha consumato il suo patrimonio senza adeguata integrazione di CHO, tanto più alto è il rischio di ipoglicemia post-esercizio. E’ noto già da tempo che uno sprint massimale della durata di 10 sec. effettuato subito dopo la prova previene l’ipoglicemia precoce, grazie alla scarica adrenalinica di cui abbiamo già parlato. Tuttavia questo “trucco” non è utile per prevenire le ipoglicemie tardive. Secondo alcuni studi intervallare allenamenti aerobici a sedute di attività “contro-resistenza” (i pesi ad es.) aiuta a stabilizzare le glicemie anche in orari lontani dall’attività, ma non c’è ancora un consenso universale su questo.
Va ricordato che esiste anche il rischio di una iperglicemia “precoce” post- esercizio. Questo può avvenire se nella fase finale della prova di endurance la soglia del lattato viene superata, attivando così il solito meccanismo contro-insulare. Inoltre il lattato può a sua volta essere riconvertito in glucosio, contribuendo all’iperglicemia.

In conclusione:
possono esserci delle vere “linee guida” per sport e diabete T1? La risposta è “no”, nel senso che le società scientifiche suggeriscono consigli molto generici che non possono essere dettagliati per ogni singolo caso.
L’atleta con diabete T1 deve provare, riprovare, e sperimentare con se stesso, perché, come abbiamo visto, le variabili in gioco sono tantissime e STRETTAMENTE INDIVIDUALI. I test vanno effettuati sul campo, in condizioni realistiche che nessuna simulazione “di laboratorio” potrà mai riprodurre.
Un piccolo esempio in tal senso lo abbiamo visto con la prova di Cristian all’UTMB 2013. Il suo consumo di CHO, valutato in due fasce orarie diverse di cinque ore ciascuna, è risultato inferiore del 50% rispetto all’integrazione consigliata dalle linee guida (cioè 1 g.CHO/Kg di peso corporeo/ora).
Un piccolo consiglio, in fase di allenamento, è quello di usare in modo intelligente il cardiofrequenzimetro, per valutare “al volo” il proprio livello di prestazione, visto che la determinazione del VO2max può essere effettuata sono in centri specializzati. Associando i valori della FC a quella della glicemia da glucometro è possibile avere una stima del proprio consumo di glucosio. Ma questo forse sarà l’argomento di un prossimo CAMP DNL.  Work in progress!....

Dottor Maurizio Sudano
Servizio di Diabetologia, Malattie Metaboliche e Endocrinologia
Urbino